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Minucci parla del caso Gerusalemme

Il giemme della Mens Sana: “Vogliamo giocare la semifinale senza correre rischi”

SIENA - La Montepaschi, dopo la disarmante prova di sabato a Roma, è tornata a Siena per riflettere sull’occasione (decisiva?) buttata via nella Capitale, ma anche per stringere le fila in vista della Saporta. Domani sera, infatti, arriverà in viale Sclavo l’Hapoel Gerusalemme per l’andata della storica semifinale della Coppa. Sul ritorno del 16 aprile e sull’opportunità di disputarla tra le bombe e i kamikaze ancora vige il silenzio da parte della Fiba e del segretario Stankovic, ma oggi potrebbe essere un giorno decisivo per dissipare tutti i dubbi. “Le possibilità di giocare in campo neutro - conferma il general manager della Mens Sana, Ferdinando Minucci - stanno crescendo, anche se la Fiba non ama molto cambiare la sede di una partita perché cerca di tutelare la squadra che ospita l’evento. In questo caso, però, si è venuta a creare una situazione di guerra che non garantisce più l’equità sportiva. Nelle prossime ore ci dovrebbe essere comunicato l’eventuale spostamento di campo per il match di ritorno”.
In Israele sembrano intenzionati a ostacolare l’ipotesi del campo neutro...
“Da molti giorni parlo con giornalisti e addetti ai lavori israeliani e tutti ripetono che la situazione è tranquilla e non ci sono problemi. La Fiba, però, ha capito che c’è in ballo un grosso rischio e spero che non intenda correrlo”.
Nella questione è poi entrato anche il Governo italiano, che ha sconsigliato di partire.
“Come facciamo tutte le volte che andiamo in giro per l’Europa, abbiamo inviato una lettera al ministero degli Esteri per chiedere informazioni sul paese in cui dobbiamo recarci. Questa volta l’unità di crisi della Farnesina ha sconsigliato di andare in Israele. La Fip ha ripreso questa missiva e, in accordo con la Lega, l’ha girata alla Fiba. Nel frattempo anche il Prefetto di Siena e le autorità cittadine si sono mobilitate al nostro fianco. La decisione ultima spetta alla Fiba, ma sarebbe quanto meno inopportuno non considerare tutto ciò e ignorare che, al di là dello stress per la partita, i nostri giocatori andrebbero in campo con il timore di minacce fisiche che ne condizionerebbero il rendimento”.
La stampa sta portando avanti una campagna denigratoria, dando spazio a dirigenti dell’Hapoel che descrivono la Mens Sana come una squadra che approfitta della situazione, mentre in realtà non ci sono rischi reali. Questo potrebbe creare tensioni anche a livello di società?
“Se dicono che abbiamo paura, hanno perfettamente ragione. Un giornalista israeliano, durante un’intervista, mi ha detto: «Di cosa siete preoccupati? Abbiamo il migliore esercito e possiamo garantirvi la sicurezza». Battuta per battuta, gli ho risposto: «Se ce la garantite come fate con i vostri cittadini, sono ancora più preoccupato». Ogni giorno arrivano notizie terribili da quei territori ed egoisticamente, con tutto il rispetto per le idee e i popoli palestinese ed israeliano, noi dobbiamo pensare a quello che più ci interessa”.
Si riferisce all’aspetto sportivo della vicenda?
“Non solo. Qui si tratta di disputare una partita importantissima in un angolo di mondo dove questa è l’ultima delle preoccupazioni che hanno gli addetti alla sicurezza. Lo sport ha poco a che vedere con guerra, attentati, bombardamenti e kamikaze. E’ chiaro che, politicamente, Israele cerca di minimizzare gli eventi. Se la semifinale si disputasse a Gerusalemme e, come è nella speranza di tutti, non succedesse niente, il fatto potrebbe essere usato come punto di forza. Noi, invece, lottiamo per giocare in un ambiente sereno e non condizionante”.
Due linee opposte. Che speranza c’è che la Fiba scelga la via più favorevole a Siena?
“L’organismo internazionale ha sul tavolo entrambe le richieste. Posso solo augurarmi che faccia una scelta intelligente, che ci garantisca di disputare un incontro sportivamente equo. Anche se questo significherà fare un torto all’Hapoel, che dovrà affrontare in campo neutro un appuntamento così importante. Del resto sono le circostanze che lo richiedono, non certo la nostra volontà”.
Marco De Candia
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