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Peterson vuol riportare Milano in alto

"Non si puo' piu' fallire"

LA SCHEDA Dan Peterson è nato a Evanston (Illinois) il 9 gennaio 1936. La svolta, come tecnico, nel 1996: viene promosso capo allenatore della University of Delaware. Dal 1971 al 1973 allena la nazionale cilena, dal 1973 è alla Virtus Bologna, che lascia nel 1978 per passare a Milano
I SUCCESSI
Con la Virtus, conquista una Coppa Italia (1974) e uno scudetto (1976). Con Milano, che lo vedrà in panchina fino al 1987, vince una Coppa Campioni (proprio nell’anno dell’addio), 4 scudetti (1982, 1985, 1986, 1987), 2 Coppe Italia (1986 e 1987), 1 Coppa Korac (1985)
PERSONAGGIO
Dan Peterson è però anche un personaggio al di fuori del campo: telecronista, giornalista, uomo-immagine per spot pubblicitari, relatore in conferenze per aziende.

Dan Peterson, sa che cosa diceva Montanelli di Andreotti? «No».
Lo definiva il «signor rieccolo»: ogni tanto ricompariva sulla scena politica. Un po’ come lei, nominato ieri presidente onorario dell’Olimpia: a volte Peterson rispunta, all’orizzonte del basket.
«Grazie per il paragone, però non intendo fare troppo chiasso. Sono presidente onorario, anzi advisor , consulente. Lavorerò con gli altri dirigenti e a fianco delle figure tecniche: il manager Cappellari e l’allenatore Faina. A proposito di quest’ultimo: non gli farò ombra, non farò nulla che possa imbarazzarlo. Il mio ruolo è "a richiesta": c’è bisogno di Dan? Eccolo» .
Per l’Olimpia si cercano tre nuovi soci, da affiancare a Tacchini. Non diventano troppe le teste pensanti?
«Può darsi. E da un lato mi dispiacerà voltarmi e non vedere la presenza di Tacchini: è una figura di carisma, che ha risolto con eleganza e decisione i problemi che c’erano. Avrebbe potuto farsi da parte un anno fa: invece, è rimasto e ha sistemato il club. D’altra parte va riconosciuto che per attuare il suo "progetto d’affari" non serve un "numero uno", ma sono necessari quattro "numeri quattro"».
Presidente onorario: lei non lo era già?
«Sì e no. Ora è ufficiale al cento per cento. Cappellari, ridendo, mi dice che è la carica che spetta a chi è "rinco": nessuna facoltà di voto, nessuna presenza nei consigli, a meno che non sia richiesto... Adesso cercherò di capire quali saranno le mie mansioni».
Domanda di riserva, visto che lei tende a ciurlare nel manico: in realtà, non è che in questi mesi Peterson non abbia fatto un tubo per la causa del basket milanese?
«Accendete il mio computer e vi dimostrerò, con le tonnellate di e-mail che ho inviato, quanto sono stato vicino all’Olimpia».
Allora, se la squadra è così malconcia, è pure colpa sua...
«Autogol, lo ammetto... Diciamo che non sono intervenuto nella scelta dei giocatori, anche se poi certe decisioni le ho difese».
S’incavola, si deprime o si rassegna, davanti ai fallimenti del campo?
«Mi incavolo molto e mi intristisco ancora di più. A Bologna potrai stregare i tifosi con l’estetica del gioco; a Milano serve invece il carattere. Milano si innamora di chi ha "le palle": D’Antoni, sei punti ma venti assist; Meneghin, due punti ma cento blocchi; Art Kenney: quanti cazzotti avrà preso, a rimbalzo? Eppoi: Gallinari, Premier, i ragazzi delle missioni speciali; e sporche, se occorreva...».
Siamo alla riproposta dello «sputare sangue».
«Il Billy-bassotto è sparito, tuttavia ci vuole di nuovo gente dura».
Diciotto punti in classifica, l’ultima a quattro lunghezze e un calendario «tosto» da domare. Da uno a dieci, quanto l’Olimpia rischia la retrocessione?
«Diciamo tre o quattro: pericolo non trascurabile».
Lei, ventiquattro anni fa, arrivò in una Milano che aveva da poco conosciuto la relegazione in A2 e che si era appena risollevata. Momenti difficili pure quelli, insomma: è possibile un parallelo?
«No. Faina aveva già riportato la squadra in A1, io ripartii senza Vecchiato e Bianchi: è come se avessi avuto sei juniores attuali. Ma sono troppo diversi i tempi, per un confronto. Dopo la Bosman e nel basket dalle frontiere aperte, ogni giocatore è imprenditore di se stesso: a questi ragazzi va spiegato che o si ritrovano in un concetto di pool , o finiscono a catafascio».
Dal momento che dovrà avere delle idee, ce ne indichi una buona per rilanciare questo povero basket a Milano.
«Una di ordine tecnico, senza invadere territori: va creata una squadra con capo e coda, cioè con un play e un pivot. Metto poi Bullock di guardia, non in regia, Michelori e Rancik all’ala: il resto è semplice contorno».
Il futuro presidente, Giuseppe Menegazzi, va giù piatto: un bel calcio nel sedere, a chi non si dimostra degno dell’Olimpia. Concorda?
«Esagera un po’. Chi prenderai a pedate nel sedere va prima avvisato. Partirei da un discorso del tipo: "Ehi, ragazzi: di qui sono passati Rubini, Bradley, McAdoo, tutti finiti nella Hall of Fame; e Gamba e Meneghin, che potrebbero finirci". Spiegato che cos’è l’Olimpia, entrerei nel dettaglio: Bullock, perché non difendi? Rancik, perché non fai un blocco?».
Dan Peterson, che da anni parla del modello sportivo in conferenze per le aziende, invoca la squadra-team: lei sarà dunque il motivatore del gruppo?
«Sì, metterò al servizio della causa pure l’esperienza maturata nel dialogo con le imprese».
Dicono i tifosi: manca D’Antoni in panchina.
«Mike D’Antoni sarebbe stato l’allenatore ideale per l’Olimpia, ma non è potuto venire. Però ho la massima stima di Faina: a Verona giunse quarto e portò la squadra nell’Eurolega. Merita rispetto: poi, a bocce ferme, si discuterà se è meglio lui, Ivanovic, Messina o altri... Ah, dimenticavo: serve anche un nuovo Meneghin a centro area».
In questo sport ormai preda dei mercenari, se ne verrà mai a capo di una situazione come quella dell’Olimpia?
«È bene che il piano di Tacchini parta ora, in primavera: ci sarà tutto il tempo per procedere. La società ha già risolto le questioni dei contratti "pesanti" di Portaluppi e Rusconi: se vorranno rimanere, giocheranno per cifre ragionevoli. Il nuovo corso è già decisionista: è l’aspetto che mi motiva».
Il presidente onorario è stipendiato oppure esercita gratis?
«Spero che arrivino quattro soldi...».
Lo sa che è prevista una cospicua trattenuta per aver presentato, a suo tempo, Pasquale Caputo?
«Dovete scrivere che Peterson è uomo d’onore e, pure lui, "con le palle". Dissi a Caputo: "Se prendi Bryant come socio, mi dimetto". Ho aspettato la prima fesseria e ho lasciato. Ho diritto a un bonus , nella trattenuta...».
Adesso o mai più, nel senso di un’Olimpia di nuovo grande. Giusto o sbagliato?
«Giusto. Dobbiamo farcela: il dato allarmante è che stiamo perdendo anche i tifosi più fedeli; non possiamo permettercelo».
Ipotizzare uno scudetto, di questi tempi, pare cimento da folli.
«Lo scudetto andrà indicato come obiettivo nella stagione 2004-2005».
Lo sa che se fallite...
«Non possiamo fallire. E non falliremo».

Flavio Vanetti
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