SIENA - La Mens Sana stamani alle undici sale sull’aereo che la porterà a Tel Aviv per la gara di ritorno della semifinale di Coppa Saporta con l’Hapoel Gerusalemme.
La Mens Sana ha fatto tutti i passi ufficiali per poter disputare la partita con l’Hapoel lontano da Israele ma, nonostante l’intervento della Federazione italiana pallacanestro, la Fiba, la federazione internazionale, ha concesso soltanto la possibilità di giocare a Tel Aviv, la capitale dello stato di Israele, a poche decine di chilometri da Gerusalemme.
La Mens Sana da oggi a mercoledì è costretta a restare in una zona ad altissimo rischio, dove può capitarti di sedere al ristorante accanto a un kamikaze che dopo qualche minuto salterà, e ti farà saltare, in aria. I calciatori del Milan non ci sono andati, i cestisti dell’Ulker neppure, la Mens Sana sì. Diamo atto al senso di responsabilità della comitiva biancoverde, dirigenti e giocatori, ma contemporaneamente sottolineiamo il vergognoso comportamento della federazione internazionale. Non ci sono aggettivi per definire chi non ha impedito questa trasferta.
La Mens Sana è in partenza, sostenuta dall’affetto a distanza dei suoi tifosi e con il colpevole silenzio di quanti avrebbero dovuto evitare questa “gita” in Israele. C’è la squadra di Siena, c’è una squadra italiana, costretta a giocare accanto al fuoco, nel fuoco. Si dirà che la Mens Sana stessa avrebbe dovuto muovere mari e monti, fare pressioni su questo e quello, per ottenere la disputa del ritorno di Coppa Saporta in un campo davvero neutro ma la società biancoverde non ha scelto la linea del piagnisteo ma la strada trasparente di una richiesta pressante, decisa, forte, nelle sedi ufficiali. Quindi, ha fatto quello che doveva fare. Semmai viene da chiedersi che cosa hanno fatto altri: in fondo, se per la strada incontriamo un amico con una scarpa sola possiamo girarci dall’altra parte o andare nel più vicino negozio per comprargli le scarpe. E’ una questione di sensibilità. Verso la Mens Sana, questa volta, non c’è stata.
Stefano Bisi
La Mens Sana ha fatto tutti i passi ufficiali per poter disputare la partita con l’Hapoel lontano da Israele ma, nonostante l’intervento della Federazione italiana pallacanestro, la Fiba, la federazione internazionale, ha concesso soltanto la possibilità di giocare a Tel Aviv, la capitale dello stato di Israele, a poche decine di chilometri da Gerusalemme.
La Mens Sana da oggi a mercoledì è costretta a restare in una zona ad altissimo rischio, dove può capitarti di sedere al ristorante accanto a un kamikaze che dopo qualche minuto salterà, e ti farà saltare, in aria. I calciatori del Milan non ci sono andati, i cestisti dell’Ulker neppure, la Mens Sana sì. Diamo atto al senso di responsabilità della comitiva biancoverde, dirigenti e giocatori, ma contemporaneamente sottolineiamo il vergognoso comportamento della federazione internazionale. Non ci sono aggettivi per definire chi non ha impedito questa trasferta.
La Mens Sana è in partenza, sostenuta dall’affetto a distanza dei suoi tifosi e con il colpevole silenzio di quanti avrebbero dovuto evitare questa “gita” in Israele. C’è la squadra di Siena, c’è una squadra italiana, costretta a giocare accanto al fuoco, nel fuoco. Si dirà che la Mens Sana stessa avrebbe dovuto muovere mari e monti, fare pressioni su questo e quello, per ottenere la disputa del ritorno di Coppa Saporta in un campo davvero neutro ma la società biancoverde non ha scelto la linea del piagnisteo ma la strada trasparente di una richiesta pressante, decisa, forte, nelle sedi ufficiali. Quindi, ha fatto quello che doveva fare. Semmai viene da chiedersi che cosa hanno fatto altri: in fondo, se per la strada incontriamo un amico con una scarpa sola possiamo girarci dall’altra parte o andare nel più vicino negozio per comprargli le scarpe. E’ una questione di sensibilità. Verso la Mens Sana, questa volta, non c’è stata.
Stefano Bisi