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5 domande a... Miralem Halilovic: "Coach Markovic è una vera leggenda nella nostra Bosnia. Io il nuovo Bilan? So di dover fare molto per diventare quello che è stato lui qui"

Miralem Halilovic

Diventato in poco tempo uno dei pilastri del Banco di Sardegna Sassari, il centro bosniaco Miralem Halilovic è il nuovo protagonista settimanale della rubrica LBA "5 domande a..."

 

Dopo due sconfitte consecutive in campionato, finalmente è arrivata una grande vittoria di fronte al vostro pubblico. Come vi sentite in questo momento?

Avevamo bisogno di questa vittoria dopo le prime due sconfitte: specialmente quella in casa contro la Givova Scafati, perché non siamo riusciti a mostrare il nostro vero volto ai tifosi. Domenica, abbiamo cominciato subito la partita con la giusta mentalità e portato a termine il lavoro, motivo per cui chi è venuto a palazzo è potuto uscire soddisfatto. Stiamo trovando un'ottima intesa con il pubblico e questo mi motiva sempre a dare il massimo.

Sei arrivato e ti sei ritrovato Justin Bibbins con cui avevi già condiviso lo spogliatoio a Nanterre. Chi dei due ha consigliato l'altro per ritrovarsi in Sardegna? Come ti stai trovando con i nuovi compagni? Ti senti pronto a raccogliere l'eredità di un illustre predecessore come Miro Bilan?

Non appena abbiamo concluso la stagione a Nanterre, ci siamo promessi di giocarne almeno un'altra insieme rimanendo sani fisicamente, poiché quell'anno entrambi abbiamo avuto problemi con gli infortuni e quindi non siamo riusciti a goderci totalmente l'esperienza. Dopo di che, non appena coach Markovic ci ha detto che avremmo potuto firmare per Sassari, siamo stati entrambi molto emozionati all'idea di giocare di nuovo insieme. Justin è una persona straordinaria, un grande giocatore e un ragazzo molto legato alla famiglia. Giocare con lui è facile, riesce sempre a trovarmi nel posto giusto al momento giusto, perciò poi spetta a me segnare o chiudere l'azione nella maniera più intelligente. È a tutti gli effetti un floor general e so che diventerà ben presto un beniamino della tifoseria. Io stesso vorrei lasciare il segno qui a Sassari come ha fatto per esempio Miro Bilan; so di dover ancora lavorare duro per arrivare vicino a ciò che lui ha fatto qui. È uno dei migliori centri della Lega, lo è stato per anni, perciò essere paragonato a lui per me sarebbe un grande complimento.

Tra te e coach Nenad Markovic c'è un piccolo angolo di Bosnia in Sardegna, che tipo di rapporto c'è tra voi due? Cosa significa per te essere il capitano della nazionale bosniaca?

Nenad è una vera leggenda nel nostro paese. Da bambino ero solito guardare le sue partite e per noi bosniaci è considerato un vero eroe nazionale; ha lasciato il segno segnando e vincendo alcune delle partite più importanti per la Bosnia. È un allenatore davvero esigente, chiede sempre il massimo dai propri giocatori, perciò riesce a tirare fuori sempre il meglio da ognuno di loro. Tra di noi c'è un bellissimo rapporto. Essere capitano della nazionale bosniaca da ormai sette anni è un vero onore per me. Allo stesso tempo, la nostra federazione – così come il nostro paese – ha tanti problemi a cui far fronte, perciò a tratti è difficile rimanere motivati e professionali conoscendo ciò che c'è dietro.

A proposito di Sardegna, hai avuto modo di visitare Sassari? Com'è stato il primo impatto con la vita sull'isola?

Sì, ho avuto modo di visitare Sassari e la Sardegna in generale. Ci è piaciuta molto fin da subito: a partire dalle meravigliose Cala Luna, Cala Mariolu, la Costa Smeralda e la spiaggia di Stintino, sono tutte incredibili e mozzafiato. Un'altra cosa rimarchevole è sicuramente il cibo: io sono una “buona forchetta”, loro vanno molto fieri della cucina tipica e capisco perfettamente il perché. Qualsiasi cosa abbiamo assaggiato, dal cibo di mare agli agriturismi in cui ci hanno offerto i prodotti locali, è stato impeccabile. Fin qui un'esperienza piacevole e che mi ha fatto sentire ben accolto.

Sappiamo che sei molto legato alla tua famiglia, perciò non dev'essere facile cambiare continuamente città e vivere sempre con le valigie pronte. Come concili la vita dentro e fuori dal campo, oltre al doppio ruolo di giocatore e papà?

La si può vedere da due prospettive differenti: la prima più complicata, proprio perché si cambia spesso città e nazioni; la seconda, beh direi fantastica! Abbiamo avuto l'opportunità di vivere in alcuni dei posti più belli d'Europa, scoprire e conoscere nuove culture, imparare nuove lingue. Noi siamo per la seconda prospettiva! Mia moglie Ivana è una storica, perciò visitare posti nuovi insieme a lei che ci spiega tutto quanto, rende l'esperienza ancora migliore. Abbiamo vissuto tre anni a Parigi, un anno a Istanbul e adesso siamo qui in Sardegna. È pazzesco! Essere il papà di una bimba è la cosa più importante e allo stesso tempo la più bella che mi sia mai capitata nella vita. Qualsiasi cosa succeda: non importa che ci sia stato un buon allenamento o uno meno buono, un'ottima partita oppure una pessima, alla fine del giorno quando rientro a casa c'è lei che mi aspetta tutta felice di giocare con me. Giorno dopo giorno, più cresce più diventa la mia migliore amica e amo il tipo di rapporto che si sta creando tra di noi.

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