Di Cesare Milanti
Il 29 aprile 1990, la Società Sportiva Calcio Napoli conquista il secondo Scudetto della sua storia. L’artefice è uno di quelli che la storia intende incoronare nell’albo d’oro degli sportivi più iconici di sempre. Per alcuni il migliore che abbia mai toccato un pallone da calcio, per tanti un Dio: Diego Armando Maradona. E probabilmente i festeggiamenti di quella giornata riecheggiano non solo entro il territorio della città all’ombra del Vesuvio, ma si spargono come un’eco in buona parte delle province circostanti.
Può essere che siano arrivati al Castello di Battipaglia, laddove si può ammirare la vastità del Mar Tirreno che bagna le coste campane. Non ci è dato saperlo, ma è probabile che quelle urla di gioia si siano incastonate tra i mattoni di casa Poeta. Ma lì c’è qualcuno che pensava a un altro sport, più che al calcio: “La verità è che Battipaglia è una città molto piccola, dove il calcio è sicuramente lo sport principale. Ma la pallacanestro in quel periodo attirava molte persone. Io avevo persone vicine che praticavano, avevo cinque o sei anni e mio padre mi portò in palestra la prima volta. Fino ai dieci anni mi divertivo e mi dilettavo anche a fare altro. Ero abbastanza polivalente”. Il ragazzo prova di tutto, ma il rimbalzo del pallone che scandisce le classiche giornate in provincia, in qualche modo, sembra attrarlo.
Ma Giuseppe Poeta, che mentre Napoli e dintorni si tingevano di tricolore non aveva ancora spento cinque candeline, non è che cercasse per forza quella strada. L’ha perseguita, passo dopo passo, facendosi in qualche modo trascinare dall’onda. Papà lo avvicina al gioco? E lui segue papà. La Polisportiva Battipagliese è il compromesso perfetto tra l’inizio di un percorso e la possibilità di intraprenderlo senza allontanarsi da casa? E lui si unisce alla Battipagliese. Farà lo stesso spostandosi a Salerno, la prima tappa di un viaggio che toccherà tante mete. Ci sono due cose che non muteranno: la passione e il desiderio acceso di mettere a tacere un po’ troppe malelingue: “Ho vissuto tutto molto serenamente, per me giocare a pallacanestro era ed è semplicemente la cosa più bella del mondo. Non mi assillava il dover far carriera o pensare a questi grandi sogni troppo lontani. Per me era già la cosa più bella del mondo giocare in C1 o in B2 da protagonista, nello sport che amavo e per cui ho ancora tanta passione. Si trattava semplicemente di un motivo d’orgoglio, il poter giocare con i grandi a 16 anni, consapevole di poter competere. Non guardavo né troppo avanti né troppo indietro: questo magari mi ha permesso di non aver a che fare con la pressione. Voglio dire: il fatto di non essere un predestinato, sotto gli occhi di tutti, ha permesso che non avessi chissà quali pressioni. La mia voglia era semplicemente quella di smentire tutti coloro che dicevano “è troppo piccolo, troppo basso, troppo realizzatore…”.
Strano, perché oggi, dopo una carriera più che ventennale, quando si parla di Peppe Poeta il “troppo” è sinonimo di stima, apprezzamento, elogio per le meraviglie che sfoggia in campo; e quando si accenna al “troppo poco” è la sua esposizione mediatica, il costante vestirsi di nient’altro che dei panni di un ragazzo semplice, attento alle necessità e ai campanelli d’allarme che scattano con i compagni - vedi, ad esempio, la sua presenza accanto ad Andrea Pecchia dopo il grave infortunio, tradotto in rottura del legamento crociato anteriore, subìto nella vittoria casalinga contro Treviso. Quello che nel 2022 possiamo considerare un volto consolidato della nostra pallacanestro, un Capitano che ha accumulato migliaia di minuti in campo, dopo che tutto ha realmente assunto proporzioni significative il 7 novembre 2005, in una sfida di Serie B tra Veroli e Forlì: 51 punti, 8/11 da tre, 19/21 ai liberi, 12 falli subiti, 3 assist e 62 di valutazione. Il tutto il 36’ in campo, a 20 anni. La ricorda così, conscio del fatto che, senza quella prestazione, forse sarebbe stato complesso vedere il suo exploit negli anni successivi: “Sicuramente è una delle partite più belle della mia vita, quella che mi ha messo sotto i riflettori del basket italiano, perché non ho mai realmente giocato in una Nazionale giovanile. Ero sempre fuori dai radar, il playmakerino bassino realizzatore che giocava in B2 e B1 con decisamente poco credito. Quella partita mi ha messo un po’ i riflettori addosso. Senza Veroli-Forlì, non so se la mia carriera sarebbe stata uguale”.
Passa da un esordio in C1 a 14 anni al ruolo di playmaker titolare in B2 tre stagioni dopo, confezionando una prestazione da 37 punti contro Catania. Passa dalla comfort zone di Salerno alla provincia frusinate, in quella Veroli che lo proietta sui taccuini degli uomini mercato di mezza Serie A. Arriva a Teramo, dove alla prima stagione nel massimo campionato italiano trova qualche difficoltà d’ambientamento, che durano però solo alcuni mesi: a fine campionato lo slot in quintetto è suo, e ripaga la fiducia con 26 punti che irraggiano talento ai danni della Virtus Bologna. È una scalata senza sosta la sua, che giunge fino a un meraviglioso terzo posto in classifica nel 2008/2009, che vale una qualificazione in Eurocup per la stagione successiva. Poeta domina, macina prestazioni convincenti e trova il suo nome in quello che è l’Oscar del Basket in Italia, il Premio Reverberi. In un’immaginaria foto che ritrae tutti i vincitori di questo primo è sicuramente accovacciato in prima fila, ma di fianco e alle sue spalle c’è gente come Gianmarco Pozzecco, Danilo Gallinari e Marco Belinelli. Dopo di lui arriveranno anche Daniel Hackett, Gigi Datome, Stefano Tonut e via discorrendo.
Rimane in Abruzzo - dove condivide lo spogliatoio con compagni di squadra come David Moss, Bruno Cerella, Achille Polonara, Jaycee Carroll, oltre a ritrovare in panchina colui che gli aveva dato fiducia a Salerno, ossia Andrea Capobianco - fino al 2010, fino alla chiamata della Virtus Bologna. Il ragazzo di Battipaglia continua a mettere un gradino in più in quella che è la sua traiettoria in ascesa: “Quello che dico spessissimo è che il mio grande sogno è continuare a viverlo, questo sogno. Per me ogni passo, ogni step, è stato… wow. Niente di dovuto, niente di aspettato. Ho vissuto tutto molto genuinamente. Quando sono arrivato dalla B1 alla A1: vediamo se ce la facciamo, vediamo se riesco a competere contro i miei idoli di sempre, vediamo se riesco a giocare dieci minuti. E poi vediamo se riesco a giocare titolare in una squadra medio/piccola come poteva essere Teramo. Quando si è alzato il livello alla Virtus Bologna, vediamo se riesco a competere in una grande squadra con grandi pressioni e nomi altisonanti prima di me e con me. Poi vediamo in Nazionale, in Eurolega… ogni step è stato qualcosa di fantastico e unico”.
A furia di “vediamo”, Giuseppe Poeta ha allargato gli orizzonti. Dopo due stagioni e qualche mese sotto le Torri, infatti, arriva la prima esperienza fuori dai confini della nostra pallacanestro: è un anno e mezzo in Spagna quello che segue, prima al Baskonia - dove forse non è il caso di riferirsi agli abitanti di Vitoria come “spagnoli” - e poi a Manresa. È una parentesi di Liga ACB e Copa del Rey, ma anche di Eurolega con i baschi: Poeta, inconsapevole di aver aperto una sorta di porta d’ingresso per i cestisti italiani nel nord della Penisola Iberica, detta la via a quelli che saranno gli arrivi alla Fernando Buesa Arena di Polonara prima e Fontecchio poi. Un’esperienza, quella sotto la guida di Sergio Scariolo e costellata di compagni di squadra dal valore fuori dall’ordinario, che (ancora una volta) è arrivata senza cercarla, ma che senza dubbio lo ha arricchito: “La pallacanestro è uno sport assolutamente inclusivo. “Without borders” in tutti i sensi: mi son sempre trovato a mio agio in ogni palazzetto d’Europa, sia con la Nazionale che con le squadre di club. La pallacanestro è sempre stata una lingua comune, in grado di avvicinarci tutti in maniera molto bella. A Vitoria è stata una stagione molto intensa, è stato bellissimo. La mia prima volta in Eurolega, in una delle società più organizzate d’Europa. Con grandissimi campioni del calibro di Lamar Odom, Andrés Nocioni, Thomas Heurtel (oltre a nomi come Rimantas Kaukenas, Adam Hanga, Fernando San Emeterio, ndr): una squadra molto forte, allenata da un grandissimo allenatore come Sergio Scariolo. Una bellissima esperienza che se vogliamo ha messo un po’ la ciliegina sulla torta su una carriera inaspettata e più rosea di quanto previsto. Il Baskonia è sicuramente il club più forte e organizzato in cui ho giocato. Nulla da togliere alla Virtus Bologna o ad altre squadre, ma loro erano e sono uno step avanti da quel punto di vista lì”.
E a proposito di Virtus Bologna, c’è una fascia che ha indossato in bianconero e che continuerà a mettere al braccio, effettivamente ma anche a mo’ di metafora, nelle esperienze che seguiranno: “Indipendentemente dal fatto che io faccia il capitano o meno, il mio comportamento all’interno di un gruppo è sempre lo stesso. Provo a creare feeling dentro e fuori dal campo con tutti i giocatori, perché penso che possa aiutare anche in campo. Provo ad allenarmi sempre al massimo dell’impegno e con il sorriso, a prescindere che sia capitano o meno. Logico è che arrivare a diventare capitano della Virtus Bologna, la squadra per cui tifavo da piccolo, per cui mi ero innamorato con le gesta di Danilovic e Ginobili, è stato un momento particolare, veramente intenso e bello, di cui vado enormemente orgoglioso. È stata una bella cosa”.
Ecco, il Peppe Poeta che si è preso un ruolo da protagonista nelle ultime stagioni all’interno del panorama cestistico italiano è racchiuso tutto nelle parole qui sopra. Un leader, l’esempio da cui trarre insegnamenti tanto in palestra quanto nel fine settimana, l’ancora a cui aggrapparsi quando le cose sembrano andare per il peggio. Ma anche un trascinatore che può trarre il meglio dai momenti meno ricchi di attesa, un po’ come avvenuto nella Final Eight di Coppa Italia 2018 con Torino, oppure raggiungendo le semifinali di Eurocup con Trento nel 2016; e ancora nella soddisfacente prima stagione a Cremona, con un roster costruito a poche settimane dal via del campionato, dopo una burrascosa estate dal punto di vista finanziario.
Eppure, Peppe vuole nuovamente abbassare l’asticella delle aspettative: “Più che chioccia o grande saggio, mi considero un ragazzo abbastanza empatico. Cerco di andar subito con un buon feeling verso sia i giovani che gli americani. Non mi considero nulla di tutto ciò, non ho vinto né Eurolega né Scudetti per far sì che io abbia una leadership incredibile, o un’aura calamitante come possono avere altri giocatori. Cerco di condividere le mie esperienze, il mio background e il mio modo di far pallacanestro in maniera solare e molto semplice. Diciamo che mi sono sempre soffermato sul ruolo che dovevo ricoprire per la squadra, che fosse entrare dalla panchina o partire in quintetto. Quello che conta davvero è il ruolo che hai all’interno del contesto della squadra. Non è iniziando le partite che cambia il tuo impatto”. E incalzandolo su eventuali similitudini con playmaker che hanno scritto la storia della LBA, come Pozzecco o McIntyre, la sua risposta è secca: “Non ho assolutamente niente a che spartire con giocatori di questo calibro. Sono dei giocatori con una leadership e un talento unico: restano per me i migliori artefici del ruolo degli ultimi 20 anni. Io mi sono divertito, mi sto divertendo. Ho avuto una carriera oltre ogni più rosea aspettativa, però diciamo che quello è un talento puro e cristallino, con cui ci sono nati. Hanno fatto la storia di questo sport”. Segnare “umiltà” nella lista degli ingredienti.
Dopo una singola stagione da Capitano a Reggio Emilia, con Leo Candi in ascesa, due compagni di reparto in spolvero come Darius Johnson-Odom e Gal Mekel e alcuni acciacchi fisici, il suo minutaggio - e di conseguenza le medie stagionali - si abbassa, con la conseguente rescissione a fine anno che sa di ultima fermata. Poi, però, sulla panchina di una Vanoli Cremona in grosse difficoltà arriva Paolo Galbiati, colui che insieme a Peppe Poeta aveva alzato al cielo di Firenze la Coppa Italia 2018: “Con Paolo ho un bellissimo rapporto, che va oltre la parte tecnica. Siamo due amanti del gioco, guardiamo e commentiamo duemila partite. Abbiamo la fortuna di vedere la pallacanestro nello stesso modo. Sono molto contento che dopo tanti anni di sacrifici, perché è uno che ha fatto la gavetta vera, da quinto allenatore a quello che prende solo i rimbalzi e fare mille video, sia diventato capo allenatore di una squadra che comunque ha fatto molto bene, oltre a essersi tolto un bello sfizio della Coppa Italia con Torino. Se lo merita, perché ha un vissuto vero ed è un amante del gioco. Indipendentemente da quello che sarà il suo futuro, che gli auguro essere il più brillante possibile, abbiamo un bel rapporto basato su queste esperienze particolari che abbiamo condiviso: torinesi prima con la Coppa Italia e poi dopo con il fallimento in un anno difficile, purtroppo, e la scorsa stagione particolare a Cremona, dove ci davano tutti per spacciati e invece abbiamo fatto bene”.
Galbiati che, grazie ai risultati ottenuti nell’annata precedente, è stato confermato alla guida di un gruppo in cui spicca l’estro di uno dei talenti più cristallini della pallacanestro europea, alla sua prima stagione da professionista dopo alcuni anni nel settore giovanile del Real Madrid; Matteo Spagnolo ha definito Peppe Poeta “Un grandissimo leader, che mi sta dando buoni consigli e alcuni trucchetti sulle giocate di furbizia che tira fuori ogni tanto”. E dunque, cosa pensa la controparte di un ragazzo capace di produrre medie da 12.1 punti, 3.5 rimbalzi e 2.5 assist a gara con la maglia della Vanoli? “Matteo è incredibile. Un ragazzo dal talento straordinario, con la testa a posto: è diligente, umile, ascolta sempre per imparare. Ha tutte le caratteristiche per diventare un campione di livello assoluto. Il mio rapporto a livello umano con Matteo sta andando ben oltre di ogni più rosea aspettativa e cerco di fare con lui quello che altri veterani hanno fatto con me, ma c’è ben poco da insegnargli: stiamo parlando di un talento generazionale, fuori dal comune. Prima di essere il giocatore che ogni allenatore vorrebbe avere, penso sia corretto definirlo come il figlio che ogni genitore vorrebbe avere”.
La sensazione che si percepisce ormai da diverso tempo è che ogni stagione, almeno in un’occasione, il play di Battipaglia confezioni una partita “alla Poeta”. Una di quelle prestazioni che lasciano il segno, potenzialmente più riconducibili a un giocatore in lizza per il titolo di MVP, oppure all’americano preso per accumulare canestri su canestri, uno dopo l’altro. È accaduto, come detto in precedenza, nella sua prima stagione in Serie A, con Teramo: 26 punti e 5 assist contro la Virtus Bologna, seconda forza del campionato nel 2006/2007. È successo nei playoff 2008/2009, trascinando i suoi alla vittoria contro Milano con 25 punti e 5 assist, così come è avvenuto nella scorsa stagione, in cui ha deciso di produrne addirittura due: 28 punti contro la Virtus Bologna e 30 nella pazza partita contro Varese, terminata 110-105 per i biancorossi dopo un overtime. Beh, anche di recente Giuseppe Poeta ha fatto un paio di partite “alla Poeta”: 28 punti contro la Carpegna Prosciutto Pesaro e 14 assist - sua seconda miglior prestazione in carriera in questa voce statistica - contro l’Openjobmetis Varese, senza però portare a casa una vittoria in entrambe le occasioni. Senza riuscire a spingere Cremona un po’ più su, in una stagione in cui si stanno vedendo pochi alti e tanti bassi. Ma se c’è un pregio che il capitano della Vanoli Basket può vantare, è la fiducia nei propri mezzi: “Sono partito molto bene con la Supercoppa, poi ho dovuto saltare tre partite per infortunio. Stiamo vivendo un momento difficile come squadra, però ne siamo consapevoli e l’impegno è quello giusto. Speriamo di provare a fare un rush finale importante. Penso che ci dobbiamo concentrare su noi stessi, dobbiamo vincere più partite possibili ed essere migliori dell’avversario, qualsiasi esso sia".
Il rush finale di cui parla vede la Vanoli Cremona nelle acque profonde della zona retrocessione, priva di un Andrea Pecchia che, nell’importante vittoria interna contro Treviso, ha sfortunatamente concluso la stagione in anticipo. Quattro partite in cui bisogna dare il 110% e che si aggiungeranno alle 400 e più disputate da Giuseppe Poeta in Serie A, un traguardo che in pochi possono vantare, con una qualità e costanza di rendimento da standing ovation. Un obiettivo sicuramente non prefissato da Peppe, che continua a essere lo stesso ragazzo di Battipaglia, amante della pallacanestro: “Sono e siamo dei privilegiati, dobbiamo ricordarcelo ogni secondo in cui entriamo in campo e in cui parliamo di pallacanestro. Facciamo il lavoro più bello del mondo, se lavoro si può chiamare. Per quanto mi riguarda, l’augurio più sincero che faccio a me stesso è di continuare a viverlo come sto facendo: divertendomi, spensierato, stando decentemente dal punto di vista fisico e vincendo più partite possibili”.
È anche il campionato dei veterani che tornano ragazzini, e Andrea Cinciarini lo sta dimostrando partita dopo partita, triple doppie incluse. Per far realizzare il desiderio di una piazza che nella passata stagione ha superato di gran lunga le aspettative, dunque, serve il miglior Giuseppe Poeta che ci sia. Lui, da “privilegiato”, ne è consapevole. Rimanere in attesa: non stupitevi se la prossima partita “alla Poeta” arriverà presto, nel momento del bisogno per la sua Cremona.